Come si forma un cristiano? Che ruolo ha la parrocchia? Va ripensata o siamo noi che dobbiamo ripensarci in grado di fare gruppo?
Cosa fa la differenza nella vita di un cristiano?
Gli ottimi ragionamenti?
La quantità di tempo che dedica agli altri?
La finezza della propria anima?
Ecco, secondo me… no.
Certo, sono cose importanti, ma non sono l’essenziale. E dirò di più: prese da sole non sono neanche poi di tutta questa importanza. Lo diventano se innestate in una scelta consapevole, sicuramente. Tuttavia la cosa veramente fondamentale, quella che davvero fa la differenza, è l’ambiente dove il cristiano si forma e – di riflesso – quello che contribuisce a formare.
La creatività di Dio nel chiamare le persone a godere del Suo amore fa sì che tante e diverse possano essere le strade tramite le quali si fa conoscere. Alcune straordinarie, altre (a mio avviso molte di più) ordinarie.
La parrocchia: una strada di Dio
Una di queste ultime, è la parrocchia. Sembra davvero scontato dirlo, ma forse al giorno d’oggi non così tanto. La società è troppo concentrata a cercare di capire se il nuovo parroco è simpatico, se è in linea con le proprie idee, quali servizi offre la parrocchia, come essa si muove sul territorio, ecc… per credere ancora che in realtà la sua funzione principale non è essere un “polo multifunzionale di filantropia”, ma quel punto di riferimento locale per mantenere accesa la luce della fede, anche nei momenti di tenebra.
IncontrarLo in parrocchia sembra così semplice che – a volte – è la parte più difficile.
Non basta inginocchiarsi cinque minuti davanti al Santissimo Sacramento ogni tanto per dire a sé stessi “ho incontrato Dio in parrocchia”. Non perché Egli lì non ci sia, ma perché se non sentiamo che il servizio che stiamo rendendo ci rende autenticamente felici pur nel sacrificio (= rendere sacro) che stiamo facendo, forse siamo sulla strada sbagliata…
… ma siamo pronti ad ammetterlo?
La parrocchia che aiuta a conoscere Dio
Lascio questa domanda aperta perché ognuno possa riflettere per conto suo… e incalzo con l’idea che mi sono fatta rispetto a ciò che molti pensano di come Dio dovrebbe essere: uno che non ti dice mai di no, che ti comprende e che – casomai – si piega al tuo volere pur di vederti contento. Non solo non la vedo così, mi sembra anche un’idea di Dio piuttosto pericolosa, perché significa che lo trattiamo come una specie di tecnica di rilassamento per sconfiggere lo stress quotidiano e non come un – vero! – amico.
La dimostrazione del mio ragionamento si può vedere, in maniera molto concreta, nell’atteggiamento del buon genitore che (e questo, almeno in linea teorica, lo sanno tutti) non è quello che ti accontenta sempre ma quello che – con la sua mentalità da adulto riesce a comprendere rischi e potenzialità degli eventi della vita e a indirizzarti sulla strada giusta, senza per questo importela.
Si vede anche nell’amicizia: il vero amico non ti dice ciò che vuoi sentirti dire, ti dice ciò che è giusto che tu veda, con i dovuti modi.
Sull’amicizia ti consiglio questo articolo di Lucia Graziano, aka Una Penna Spuntata: “Quando allontanarsi da un falso amico, secondo Aelred di Rievaulx.“
L’atteggiamento di un amico può cambiare da un’amicizia all’altra, come quello del genitore da un figlio all’altro, perché sì, siamo davvero tutti diversi… e questa retorica del “tutti uguali” sta diventando veramente tossica per le differenze individuali. Abbiamo gli stessi diritti in quanto persone umane, ma la nostra realizzazione dipende da quanto riusciamo a far fruttare il nostro capitale personale e da quanto gli altri hanno investito e investono su di noi.
La parrocchia che aiuta a modulare l’espressione di sé
E così come è nello spirito parrocchiale dare il via a diverse attività perché ognuno possa esprimersi al servizio di Dio, è anche giusto che proprio da questo ambiente possano arrivare i no.
Provo una grande tenerezza nel ricordare il mio parroco quando mi disse: “No, tu al Grest quest’anno non partecipi!”. Fu un atto di grande misericordia nei confronti di una laureanda sotto tesi, che in teoria avrebbe dovuto laurearsi in un mese, massimo due… e il Grest durava due settimane… in cui avrei scritto quanto? Una pagina? Io sentivo la responsabilità verso la mia parrocchia, forse troppa, e quel no mi suggerì due cose:
- Mai mettersi addosso pesi più grandi di noi;
- Dio mi ama per ciò che sono, non per quanto do… quindi se mi è possibile è bello dare, ma se non è possibile… avere lo stress alle stelle e rimandare ad libitum la propria vita non è contemplato.
Limitare il nostro ego
Lo scopo di Dio nei nostri confronti è di farci sentire amati e ogni incarico, piccolo o grande che sia, ci viene dato per scoprire qualcosa di noi che è talmente bello che Lui desidera che lo portiamo al prossimo… ma non dobbiamo mai dimenticare la nostra creaturalità e il nostro bisogno di sentirci ciò che siamo, esseri fondamentalmente imperfetti che possono tendere alla perfezione evangelica perché siamo nelle sue mani.
Dio lo troviamo anche nel nostro essere “esattamente come tutti gli altri posti…”, perché se è vero che dobbiamo amarci per essere attrattivi, è anche vero che tutto ciò che di negativo può avvenire in una parrocchia serve per limitare il nostro ego e spingerci a trovare soluzioni migliori ai problemi che sono intervenuti.
Se fossimo migliori degli altri, non servirebbe la Chiesa… perché essa è la forma istituzionale del dono che Dio ci ha dato per diventare santi: l’amicizia.
Ed è questo che il nostro ambiente deve suggerire agli altri: siamo amici, questo ci basta.
Se vuoi leggere un altro articolo simile puoi farlo a questo link: “L’amicizia è un altare”.
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